Scritto dai fratelli Arkadi e Boris Strugatzki, è famoso anche per essere il romanzo di fantascienza da cui è stato tratto il film Stalker.
Marmont, una cittadina industriale come tante altre. Eppure, poco oltre la periferia, qualcosa è cambiato irreversibilmente. Al di là di hangar e capannoni, in mezzo a una natura splendida, si estende un territorio dalle caratteristiche uniche. È la Zona: uno dei sei luoghi del mondo “visitati” dagli extraterrestri. La Zona: un luogo magico e pericoloso, che pullula di fenomeni sconvolgenti, di oggetti dalle qualità straordinarie. Come dopo un picnic sul ciglio della strada, a metà del viaggio fra una galassia e l’altra, gli extraterrestri hanno mollato i propri avanzi sul prato. “Avanzi” che hanno cambiato radicalmente leggi fisiche e natura di quei luoghi. Accumulatori eterni, gusci energetici, antigravitometri sono strumenti di altissimo valore scientifico ed economico, prede prelibate di studiosi e trafficanti. A Marmont è nata una nuova professione, quella di “stalker”. Gli stalker entrano nella Zona a caccia di questi oggetti e li rivendono al miglior offerente. Tenace “cercatore” dell’Istituto delle civiltà extraterrestri, Red Schouart, in arte Roscio, è sedotto dalla potenza della Zona. Rapido, fortissimo, deciso, è pronto a strisciare su un suolo imprevedibile a temperature insostenibili. L’Eldorado sembra a un passo, in quel luogo assoluto, ma non sono né la ricchezza, né il potere, né la verità che premono a Roscio: è il brivido estremo della sfida, il desiderio di “bucare” lo schermo del possibile che lo spingono a trasgredire le leggi – fisiche e morali – di una comunità pavida e corrotta. Questo romanzo è un gioiello della letteratura fantastica di tutti i tempi: lo “Stalker” e la “Zona” sono diventati veri e propri archetipi.
Una delle cose più interessanti del racconto, è il rapporto fra le persone e la
Zona: un luogo talmente al di fuori delle leggi fisiche conosciute, da
risultare incomprensibile, spaventoso e terribilmente letale, di una
pericolosità accresciuta dal non poterne percepire i pericoli. È emblematico
anche il modo in cui la gente rappresenta a sé stessa lo scopo della visita
degli alieni ed il motivo per cui hanno lasciato tutti quegli oggetti
prodigiosi.
Si tende a preferire spiegazioni “dignitose” per l’uomo, attribuendo a questa visita una intenzionalità, immaginando che gli alieni abbiano effettivamente desiderato un contatto con l’uomo, mentre forse l’ipotesi più probabile è che la visita sia stata solo una sorta di picnic alieno su di un pianeta a casaccio, sul quale poi è stata dimenticata la propria immondizia. In un brillante discorso fra due dei personaggi, vengono vagliate varie ipotesi e si passa da quella appena descritta, al come giudicare la presenza o meno della ragione in esseri radicalmente diversi da noi. È così difficile definire cosa sia la ragione, anche solo prendendo in considerazione noi stessi, che applicare le stesse regole che utilizziamo per noi a creature dalla natura completamente ignota, risulta un impresa impossibile ed un sintomo di radicato antropocentrismo. Tuttavia ci è impossibile non provarci. Come studiare gli oggetti lasciati dagli alieni? Siamo riusciti a classificarli, ad utilizzarli, ma non ancora a capire come funzionano e a riprodurli. Ed anche riuscendo ad utilizzarli, non è escluso che non stiamo semplicemente “usando dei microscopi per piantare dei chiodi”.
Il racconto tocca anche uno dei temi tipici della filosofia della scienza, quando critica la nostra “potente scienza positivista” per essere impotente di fronte al mistero delle Zone e degli oggetti ivi contenuti.