Questo saggio, pubblicato dal collettivo Ippolita è acquistabile in libreria da Feltrinelli, oppure scaricabile da loro sito, in formato PDF.
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È scritto molto bene e con grande competenza dei temi trattati. Non è complottistico come potrebbe sembrare, ma mette ben in evidenza il ruolo dell’azienda e la differenza che passa fra come essa si promuove e ciò invece che veramente offre e quali siano i suoi obiettivi.
La tendenza ad intendere internet come il solo world wide web, prima, ed ora ad accentrarne la fruizione quasi esclusivamente tramite gli strumenti forniti da Google, è in sempre maggiore aumento. Nel tempo, anche Google ha aumentato la sua pervasività, aggiungendo allo strumento di ricerca, altri servizi che vanno a coprire ogni possibile utilizzo della rete, partendo dalla posta elettronica, ad usenet (i newsgroup), ai blog, la gestione di servizi pubblicitari, le chat testuali e vocali/video, la traduzione online di testi, applicazioni per ufficio come word processor e foglio di calcolo, l'aggregazione di notiziari (feed reader), la pubblicazione di libri, mappe geografiche, raccolte di foto, applicazioni, social network, video, per finire (per ora) rendendo disponibili dei propri server DNS. Attualmente, esiste la “versione Google” di quasi ogni servizio e strumento legato alla rete. I dati raccolti da ognuno di questi servizi vengono messi in relazione con gli altri, creando dei profili utente che facilitano il filtraggio delle informazioni allo scopo di fornire nelle ricerche i risultati più adatti, ma anche, soprattutto, le pubblicità più mirate tramite AdWords.
Solo fintanto che si conosce cosa si utilizza e si ha ben chiaro l'uso che una azienda privata fa dell'enorme quantità di dati che raccoglie dai suoi utenti ed il modo in cui li mette in relazione, si può dire di fare un uso consapevole e disilluso di ciò che apparentemente viene fornito gratuitamente.
Viene spiegato in modo chiaro il funzionamento dell'algoritmo PageRank ed in che modo questo si traduce nell'utilizzo degli strumenti messi a disposizione.
La più grande illusione che l'utente medio ha, è che Google corrisponda alla rete e che sia in grado di trovare ogni cosa esistente in modo neutrale e senza filtri. Niente di più falso. È proprio grazie all'uso di filtri che il motore di ricerca riesce a districarsi fra l’enorme quantità di dati memorizzata e fornire all'utente una risposta rapida e presumibilmente soddisfacente. Se Google non utilizzasse dei filtri per scremare, eliminando dai risultati i dati che ritiene meno significativi per la ricerca effettuata, l'utente avrebbe maggiori difficoltà nel trovare una risposta soddisfacente alla propria ricerca. Questo, significa anche che i dati che il motore di ricerca restituisce all'utente, non possono che essere parziali ed incompleti. L'utente, non avendo altri strumenti per verificare ciò che gli viene mostrato (a meno di conoscere già ciò che sta cercando ed i risultati corretti che dovrebbe ottenere), darà per scontato che quello fornito da Google, sia il responso più completo ed efficiente possibile.
Inoltre, il fatto che l'onere del filtraggio sia in mano ad un'azienda che si pubblicizza come “buona”, non ci deve far illudere che tutto questo potere venga sempre usato in modo etico e corretto.
La cronaca ha già mostrato in più di un'occasione, casi in cui l'azienda ha utilizzato i propri filtri per scopi non proprio etici: ad esempio i filtri che hanno inserito per il governo cinese, ed un filtraggio ad hoc che avevano fatto durante un processo in cui l’azienda era coinvolta.
il giorno dell’udienza per il caso American Blind, nel distretto di San José dove si teneva il processo i risultati di Google si mostravano misteriosamente differenti da ogni altro luogo nel mondo. Per la prima volta Google veniva colto a manipolare i risultati per fini diversi da quelli del “miglior risultato di una ricerca”. Il parere positivo della corte rispetto al caso con Geico (in tutto e per tutto analogo a quello con American Blind) fatica a cancellare questa realtà.
Il potere, costruito su tutti i dati di cui sono in possesso, lo hanno già, e solo loro hanno la facoltà di decidere come utilizzarlo. Questo è il solito problema esistente in tutti i sistemi nei quali i poteri sono accentrati.
Un’analisi seria e approfondita sull’universo di Google e sull’industria dei metadati.
Google si è affermato negli ultimi anni come uno dei principali punti di accesso a Internet. Ci siamo adattati progressivamente alla sua interfaccia sobria e rassicurante, alle inserzioni pubblicitarie defilate ma onnipresenti; abbiamo adottato i suoi servizi e l’abitudine al suo utilizzo si è trasformata ormai in comportamento: “Se non lo sai, chiedilo a Google”. Google ha saputo sfruttare magistralmente il nostro bisogno di semplicità. Eppure ci troviamo di fronte a un colosso, un sistema incredibilmente pervasivo di gestione delle conoscenze composto da strategie di marketing aggressivo e oculata gestione della propria immagine, propagazione di interfacce altamente configurabili e tuttavia implacabilmente riconoscibili, cooptazione di metodologie di sviluppo del Free Software, utilizzo di futuribili sistemi di raccolta e stoccaggio dati. Il campo bianco di Google in cui inseriamo le parole chiave per le nostre ricerche è una porta stretta, un filtro niente affatto trasparente che controlla e indirizza l’accesso alle informazioni. In quanto mediatore informazionale Google si fa strumento di gestione del sapere e si trova quindi in grado di esercitare un potere enorme. Cosa si nasconde dietro il motore di ricerca più consultato al mondo? Quello che da molti era stato definito e osannato come il miglior strumento per districarsi tra le maglie di Internet, pare celare molti segreti ai suoi utenti. Si va dalla scansione delle e-mail del servizio Gmail alla indicizzazione proposta da Google che sembra in realtà non dare tutte le risposte richieste dall’utente, fino a ipotesi di violazione della privacy collettiva. Criticare Google attraverso una disamina della sua storia, la decostruzione degli oggetti matematici che lo compongono, il disvelamento della cultura che incarna significa muovere un attacco alla tecnocrazia e alla sua pervasività sociale.