Oggettività e realtà

L’universo è probabilistico o deterministico? È possibile arrivare alla spiegazione oggettiva di esso, tramite la sola ragione? Entrambe queste ipotesi mi hanno attirato, ad intermittenza, seppur si escludessero a vicenda.

og|get|ti|vi|tà
s.f.inv.
1. TS filos., carattere intrinseco di ciò che è oggetto, che appartiene al mondo del reale e si distingue dal soggetto pensante 2. CO obiettività, imparzialità: giudicare con o.

Il termine viene normalmente utilizzato in modo ambiguo. L’oggettivo al quale si pensa di tendere, non è l’oggettivo intrinseco di ciò che è oggetto, ma un qualcosa che appare oggettivo perché condiviso, quindi appartenente non solo al soggetto pensante. Usando il termine oggettivo, come contrapposizione a soggettivo, solitamente si inferisce che l’oggettività alla quale si tende, coincida con l’oggettività intrinseca. Io ritengo che sia una falsa inferenza e che l’uso comune del termine, rendendola “scontata”, ci crei difficoltà nell’accorgerci dell’ambiguità.
Non riconoscere questa ambiguità, ritenendo che ciò che consideriamo oggettivo coincida con la realtà, potrebbe crearci problemi ogniqualvolta si cerchi di studiarla.
In questo articolo cercherò di spiegarne il motivo, supponendo una separazione fra le due oggettività. Utilizzerò il termine “oggettività” quando vorrò intendere ciò che si distingue dal soggetto pensante in contrapposizione al termine “soggettività”, e “realtà” per riferirmi al carattere intrinseco della stessa, cioè l’oggettività in senso assoluto del termine, in mancanza di qualsivoglia soggetto o punto di vista. Poniamo la realtà come data. Noi apparteniamo ad essa e la nostra esperienza è frutto di ciò che la mente seleziona dagli stimoli dei nostri sensi. Senza i processi di selezione, la nostra coscienza non sarebbe in grado di prestare attenzione a tutto ciò che entra dai sensi e non sarebbe in grado di distinguere quali stimoli siano più prioritari di altri. Solo dopo questi processi di selezione, gran parte dei quali sono inconsci o subconsci, il nostro distillato di realtà arriva all’intelletto e quindi alla ragione. La maggior parte dei processi di selezione, non sono riconoscibili tramite introspezione.
L’introspezione è un compito che richiede l’intelletto. Ne segue che solo alcuni dei processi di selezione sono intellettualizzabili da noi stessi, mentre altri rimangono pre-intellettuali.
Superati i sensi ed i processi di selezione si arriva all’intelletto ed è qui che, una persona sana, riesce naturalmente a distinguere fra ciò che appartiene solo a se stesso e ciò che è esterno a se stesso. In mancanza di questa capacità, gli uomini finirebbero per fuggire a gambe levate al solo pensiero di una tigre o, viceversa, crederebbero che la tigre che hanno davanti sia solo frutto della propria fantasia e finirebbero quindi masticati e digeriti ben bene, perché non riuscirebbero a distinguere fra ciò che è rappresentazione mentale e ciò che è frutto dei sensi. L’uomo, da questo, inferisce che ciò che non è solo suo – soggettivo – ma condiviso fra altri individui, corrisponda alla realtà oggettiva.
Questo, non corrisponde al vero, perché l’"oggettività" così ricavata, non è altro che un’intellettualizzazione del distillato di realtà dispensato dai propri sensi e dai processi di selezione.

A questo punto ci si potrebbe chiedere: “ma se una grandissima quantità di individui diversi, con moltissimi strumenti a disposizione, si incontrasse ed in una grande discussione e mettesse assieme tutte le proprie singole "oggettività personali", non si arriverebbe a descrivere la realtà?”.
No, perché, sebbene siamo individui diversi, con conoscenze diverse e punti di vista differenti, siamo comunque macchine che funzionano in modo simile. Non ci è possibile essere sicuri che l’oggettività che emergerebbe da quella situazione, non sarebbe contaminata dalle nostre caratteristiche comuni e quindi diversa dalla realtà.

La storia umana è piena di esempi di teorie presunte-oggettive, che sono rimaste tali finché non soppiantate da altre teorie migliorate o addirittura completamente diverse. Non parlo solo di teorie scientifiche, ma anche metafisiche, mistiche e religiose: l’idea della creazione divina, soppiantata dalla teoria dell’evoluzione, la fisica newtoniana fagocitata dalla fisica quantistica, o la teoria geocentrica sostituita da quella eliocentrica.
Una fede religiosa è considerata reale solo finche vi sono persone che vi credono.
Questi esempi, sono una dimostrazione della natura condivisa di ciò che chiamiamo ambiguamente oggettività.

In un particolare e preciso momento storico, non è possibile affermare con certezza che l’oggettività di un determinato argomento, sia vicina in senso assoluto alla realtà. Nel momento in cui Galileo espresse la sua idea, quella condivisa, che considereremmo oggettiva, riguardo i moti dei pianeti era completamente diversa. In seguito, l’idea di Galileo venne ritenuta più vicina alla realtà e prese il posto di quella precedentemente considerata oggettiva.

L’idea di oggettività di natura condivisa spinge nella direzione della probabilità, mentre quella di oggettività intrinseca spinge nella direzione deterministica.

Chi è religioso solitamente sostiene che il divino esiste e che esso sia l’unico essere ad avere la capacità di conoscere e manipolare veramente la realtà. Questo non è negabile. Se esistesse un divino, non potrebbe non essere così, altrimenti non sarebbe diverso da un qualsiasi altro essere. Questo però, non ci da alcuna prova che il divino esista. L’idea stessa del divino, nella mente umana, nasce dall’intelletto, con tutti i problemi che ho appena evidenziato. Da ciò, seguirebbe che l’esistenza di un divino con queste caratteristiche non può essere provata né spiegata in maggior modo della realtà.

Per questo motivo, spesso viene detto che la realtà intrinseca, il divino e ciò che viene chiamato soprannaturale, non può essere conosciuto attraverso la ragione, l’intelletto, ma solo sperimentandolo, ipotizzando così, l’esistenza di una sorta di coscienza pre-intellettuale.

Le persone razionali che si affidano al metodo scientifico, sono anch’esse soggette ai problemi intellettuali che ho descritto. Un vantaggio della scienza, è che ammette implicitamente proprio questo. Essa fornisce probabilmente il metodo più sicuro per potersi accorgere di sbagliare.
Il modo in cui lo faccia, è ancora argomento di discussione fra filosofi della scienza, partendo da chi propone uno schema molto rigido, come i popperiani, passando per schemi meno rigidi, ma con più elementi in gioco, come per Lakatos, per finire all’anarchia di Feyerabend.
Tutto ciò è assente nelle religioni dogmatiche. I dogmi, infatti, tendono ad autoconfermarsi. Nonostante questo, la scienza non può dare garanzie di comprendere la realtà, ma di avere meno possibilità di rimanere intrappolati in idee che portano a false oggettività.

In conclusione, la realtà potrebbe essere deterministica, ma i metodi per giungere ad essa, se devono passare attraverso l’intelletto, facendo quindi tendere l’oggettività verso di essa, non possono che essere probabilistici.

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